Pro-Gettare l'Amore

Come abbiamo cercato di descrivere nel post precedente, un profondo legame unisce amore e morte, poiché l'uno vive e s'alimenta nelle braccia dell'altra. Pulsione di vita e pulsione di morte, definisce Sigmund Freud i protagonisti di questo legame, ripescando il mito di Eros e Thanatos: sponde estreme di un insanabile conflitto che abita l'umano e lo trascina lungo le spirali dell'esistenza.

Si tratta di due pulsioni che agiscono in modo conservativo, generando una lotta e al contempo un compromesso per restare in vita e affinché la vita si doti di senso, o di quella molteplicità di sensi che chiamiamo cultura (nei suoi differenti modi di farci vivere e interpretare la realtà) e che solo l'umano tra i viventi sembra mosso a generare, producendo un'infinità di oggetti di sé per lanciarli (e con essi lanciarsi) fuori da sé, nell'universo dei simboli che compongono la complessità umana.

La "signora con la falce" che ci attende alla fine del sentiero ci spinge, dunque, ad amare, ovvero ad infondere vitalità, animare (dare anima) le cose che ci circondano, a partire da quella cosa che è il nostro corpo, affinché quel cammino che ci riconduce all'inorganico da cui siamo venuti, assuma -appunto- un senso che, senza la morte, non avrebbe. 

Come bene ci mostra Jonathan Swift quando fa precipitare il suo Gulliver tra gli immortali Struldbrug; se l'uomo è costretto a vivere per sempre, l'angoscia infinita della vita lo sommerge, proprio perché è nel suo essere finita che la vita è costretta a trovarsi un senso che la tenga in vita.

La morte è l'angoscia intermittente che l'uomo è gettato a sopportare affinché possa godere della pienezza della vita; quella vita che trova nell'amore, in ogni sua forma declinato (arte, filosofia, religione, etc. -non a caso in questo ordine evolutivo), il suo più concreto riferimento, ma solo in quella forma d'amore che è l'amore di coppia questo omaggio alla vita non è sublimato. Solo nell'amore con l'Altro e per l'Altro questo omaggio alla vita si incarna veramente e tanto da s-corpo-rarsi per darsi all'in-finito nel corpo dell'Altro che amiamo e che fecondiamo affinché, dai nostri corpi, un altro corpo finito possa liberarsi all'in-finito in un nuovo corpo, in un nuovo amore.

Lì, nel corpo dell'Amato, la pulsione di vita sconfigge (almeno per un istante) la pulsione di morte: è l’eros, il piacere, la libido, quella pulsione che in tedesco è "trieb" e che, infatti, significa "spinta".

Ma affinché questa spinta si dia con successo e benessere, è necessario rischiare, mettersi a rischio di perdersi, certo, con attenzione, affinché non ci si lasci totalmente inghiottire dall'Altro, ma anche senza indugi: rinunciando a difendersi, abbandonando ogni corazza che, mentre tenta di proteggere la vita, anche la impedisce, la frena.

Aprirsi alle alterazioni dell'Altro che amiamo, allora, come l'anemone che Rainer Maria Rilke vede in un giardino romano: “[...] talmente aperto durante il giorno, che non riusciva più a chiudersi per la notte.". Esporsi, nelle braccia dell'amore, al rischio della possibilità della fine.

E non è questa quella che chiamiamo passione? Quell'emozione profonda che fa vivere (o dovrebbe far vivere) ogni giorno d'amore come se fosse l'ultimo giorno; quella passione che mi spinge ogni giorno a cercarti, e ogni giorno... tutti i giorni... a sceglierti: te, e nessun'altro, nessun'altra ("como si fuera esta noche la ultima vez" -Consuelo Velázquez); a sceglierti dando cammino, progetto, alla mia e alla tua finitezza.

Una passione che, tuttavia, non attiene, come si potrebbe pensare, solo alla dimensione (pulsione) sessuale, a quel desiderio che spesso le coppie sentono venire meno quando gli anni del loro amore si accumulano e il naturale desiderio di un tempo sembra sopirsi. 

È, bensì, una spinta più globale che nella sessualità trova l'energia per propagarsi poi alla vita tutta, ossia a pro-gettarsi nella vita usando, come dice Heidegger, le cose del mondo in funzione del nostro pro-gettare, prendendoci cura di quelle cose, compresa quella cosa che chiamiamo "amore", che significa, anzitutto, aver cura degli altri e, in primo luogo, dell'Altro che amiamo, non sottraendolo dalla sua cura, dalla sua solitudine, dalla sua angoscia per la morte, ma aiutandolo a conquistare la libertà di com-prenderla.

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